venerdì 30 settembre 2011

Adam Smith e l'Educazione

L'Educazione nella Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith
Tema chiave per il superamento del presunto dualismo smithiano tra economia e morale

Mattia Baglieri


Premessa.
Comprendere il presente e cercare di impostare il futuro sono due azioni che non possono prescindere quasi mai da una ricognizione ‘giusta’ (quantomeno attenta…) del passato. In particolare, se parliamo di politiche educative, è inevitabile il dover fare i conti con eminenti figure del pensiero occidentale. In anni recenti, Amartya Sen e Martha Nussbaum si sono soffermati sulle radici nel pensiero politico delle politiche educative contemporanee, ravvisandone precursori in autori occidentali e non occidentali, a partire dai secoli più risalenti1.

Uno scozzese nell’Età dei lumi.

Nella modernità, uno di questi autori, figlio del milieu intellettuale dell’Illuminismo scozzese è Adam Smith (1723-1790). Smith, rinomato fondatore dell’economia politica quale “scienza dello statista e del legislatore”2, la interpreta come parte di un tutto, di un complexus scientifico che organizza rigorosamente un lunghissimo arco disciplinare che procede dalla fisica newtoniana alla filosofia morale3. Se si considera il pensiero smithiano come un tutto – piuttosto che distorcendone talune parti ora in senso più utilitarista ora in senso più etico-filosofico – si fa un passo in avanti nel superamento del supposto dualismo tra uno Smith eminentemente filosofo morale ed uno Smith soltanto economista4. L’economia politica è parte di un solo sistema scientifico che non prescinde da coerenti elementi filosofico morali, scientifici in senso tecnico e politici: la Ricchezza delle nazioni5 (1776) viene molto dopo la Storia dell’Astronomia (pubblicato solo postumo nel 1795, ma da considerarsi scritto giovanile), dopo la Teoria dei Sentimenti morali6 (1759), dopo le Lezioni di Glasgow (databili 1763-1766, ma pubblicate postume7), ma prima di un trattato – tutto police – sulla Justice che mai vedrà la luce8.
Ecco allora che l’analisi che Smith riserva lungamente alle politiche educative nella RN possono essere individuate come un esempio di lettura “in continuità” del pensiero smithiano. Non soltanto perché numerose osservazioni si sovrappongono a quelle cui l’autore aveva dedicato pagine nella TMS; non soltanto – ancora – perché il punto di vista smithiano è accostabile al soffermarsi francese su queste tematiche di Diderot, Condorcet, Voltaire e Rousseau sul versante illuminista francese9; ma soprattutto perché l’educazione è dimostrativa di uno Smith che non elimina mai completamente lo Stato dalla “mano invisibile” del mercato nel laissez-faire economico, ma che lo intravvede quale garante di quei “beni pubblici” che potrebbero essere compromessi qualora affidati ad un principio eminentemente liberoscambista. Il bene pubblico (the publick10) di Smith è fonte di un processo che oggi si descriverebbe – pur con alcuni limiti, che meglio definiremo nel prossimo paragrafo – come “internalizzazione dei costi e delle esternalità” potenzialmente negative in quei settori che non sarebbero assicurati dal mercato in libera concorrenza.

Un sistema misto tra The Publick e laissez-faire.

Sono numerosi ed ininterrotti i riferimenti che Smith presta alle politiche educative (“the Instruction”/“the Education”) in tutta la Ricchezza delle nazioni. Ma, in particolare, il capitolo più importante ai nostri fini si trova nella Parte Terza del Libro quinto, che Smith dedica significativamente alla “Spesa per le opere pubbliche e per le pubbliche istituzioni”11. In particolare nell’Articolo II sono numerose le pagine dedicate alla “Spesa per le istituzioni per l’istruzione della gioventù”12: analisi che in verità oltrepassa l’educazione delle giovani generazioni, anticipando appunti sull’educazione permanente e su quella professionale. È appunto qui che lo Smith economista della Ricchezza delle nazioni si sofferma assai puntualmente e in maniera franca sui presupposti più importanti delle politiche educative moderne e contemporanee. Ricordando il proprio periodo di studi ad Oxford, Smith appoggia l’idea di un “sistema misto” per finanziare le spese educative. A suo dire, infatti, il professore il cui stipendio venga pagato interamente da pubbliche istituzioni rischia di adattarsi ad una bassa qualità dell’insegnamento. Ecco perché lo stipendio dell’insegnante dovrebbe essere pagato “in parte, ma non esclusivamente dallo Stato, perché se fosse pagato esclusivamente, o anche principalmente, dallo Stato [l’insegnante] imparerebbe presto a trascurare il suo mestiere”13. Di qui l’importanza che Smith dedica al “controllo circa la qualità dell’insegnamento impartito”14. Eppure – come giustamente sottolinea Zanini – è evidente come Smith sostenga la necessità di un Pubblico settore che finanzi le spese educative “basiche” per tutta la popolazione dello Stato, ravvisando nei benefici a lungo termine dell’educazione un rafforzamento del senso nazionale e democratico di tutta la popolazione. Il “quesito radicale”15 è finalmente posto: “Lo Stato (the Publick), ci si può dunque chiedere, non dovrebbe curarsi affatto dell’istruzione del popolo? O, se dovesse curarsene, quali sono i diversi aspetti dell’istruzione che dovrebbe curare tra i diversi ordini sociali? E in che modo dovrebbe curarli?”16 La risposta è pronta e riguarda l’“internalizzazione delle esternalità” educative su cui già ci siamo soffermati: “Se non ci fossero pubbliche istituzioni per l’istruzione, non verrebbe insegnato nessun sistema, nessuna scienza di cui non ci fosse una certa richiesta o che le circostanze del momento non rendessero necessario, o conveniente, o per lo meno di moda imparare”17. Significativamente, l’attenzione di Smith all’educazione è così solida che egli anticipa l’affirmative action statale a beneficio delle fasce più povere e, di conseguenza, più deboli della popolazione: “L’istruzione della gente comune richiede forse, in una società incivilita e commerciale, l’attenzione dello Stato più di quella delle persone di un certo rango e di una certa fortuna”18. L’educazione “mista” di Smith diventa persino educazione obbligatoria: “[…] le parti più essenziali dell’istruzione, leggere, scrivere e far di conto, possono comunque essere apprese in così tenera età che anche la maggior parte di coloro che devono essere allevati per le occupazioni più basse hanno il tempo di apprenderle prima di poter essere impiegati […]. Con una spesa molto piccola lo Stato può facilitare, incoraggiare e anche imporre a quasi tutta la massa del popolo la necessità di apprendere queste parti più essenziali dell’educazione19. E ancora: “Lo Stato può imporre a quasi tutta la massa della popolazione la necessità di apprendere queste parti essenziali dell’istruzione, obbligando tutti a superare un esame o una prova su di esse, prima di poter ottenere il permesso di entrare in una corporazione o di poter esercitare un mestiere in un villaggio o in una città […]”20. Infine: “Anche se lo Stato non dovesse trarre nessun vantaggio dall’istruzione dei ceti inferiori del popolo, dovrebbe ugualmente aver cura che non fossero del tutto privi di istruzione”.
L’interesse di Smith sulle politiche educative riserva altre sorprese. Tra queste il sostegno di Smith su quelli che con lessico moderno chiameremmo Recognition of Prior Learning o meccanismi di Recognition/Validation/Accreditation del sapere antecedente. Scrive Smith: “Per ottenere gli onori dei titoli di studio non è necessario che una persona esibisca un certificato che attesti che ha studiato un certo numero di anni in una scuola pubblica. Se all’esame dimostra di capire ciò che si insegna nelle scuole, nessuno gli chiede il luogo dove lo ha imparato”21.
Passando in rassegna la storia delle civiltà occidentali a partire da quella Greca e Romana, Smith dà il suo appoggio agli studi classici: innumerevoli sono infatti i riferimenti a Platone, ad Aristotele, all’oratoria greca e romana, agli Stoici, alle dottrine di Quintiliano, al diritto romano. È anche a partire dall’esempio e dalle indicazioni degli antichi che il popolo può apprendere a sostenere e a corroborare una società realmente libera ed asintoticamente viepiù vicina ad un ideale democratico, prodromo di una vita pienamente umana giacché contrapposta a “torpore della mente, stupidità ed ignoranza”22
Smith è un intellettuale sempre avvertito del milieu intellettuale del suo tempo e non dimentica di sottolineare l’apporto del progresso scientifico più aperto alle influenze intellettuali europee. In particolare, nell’istruzione superiore, le università meno ricche hanno – a dire di Smith – contribuito al progresso scientifico grazie allo zelo dei docenti più aperti alle influenze della cultura mondiale: “gli insegnanti, dipendendo per la maggior parte della loro sussistenza dalla loro reputazione, erano costretti a prestare maggiore attenzione alle opinioni correnti del mondo”.

Basic Education, Lifelong Learning ed Educazione alla cittadinanza.

In realtà, se si può supporre che le osservazioni relative alla cultura filosofico-politica occidentale ed all’apertura all’ambiente intellettuale contemporaneo europeo siano dedicate più propriamente alla cerchia molto ristretta di coloro che potevano godere della c.d. “educazione dotta”, Smith si sofferma nuovamente anche sulla Basic Education per tutti i cittadini, la quale non deve dimenticare l’educazione tecnica e professionale (oggi parleremmo di Vocational Training) e l’apprendimento per tutto il corso della vita (il c.d. Lifelong Learning). Sulla prima egli si spende per “libri un po’ più istruttivi di quanto sono comunemente”23 e per un’istruzione vocazionale basata “sugli elementi fondamentali della geometria e della meccanica […], [giacché] non c’è mestiere che non dia l’opportunità di applicare i principi della geometria e della meccanica e che quindi non faccia gradualmente esercitare e progredire la gente comune in questi principi, che sono l’introduzione necessaria alle scienze insieme più sublimi e più utili”24.
Riguardo, invece, al Lifelong Learning ed all’educazione alla cittadinanza, Smith sostiene che quando l’educazione è improntata sulle necessità di ogni età (“istruzione delle persone di ogni età”25, nel lessico smithiano), essa è la base sia per “essere cittadini del mondo” sia per un empowerment personale-sociale26.
Interessante è anche l’anticipazione della questione relativa alle borse di studio per i più capaci e meritevoli: “Lo Stato può incoraggiare l’apprendimento delle parti essenziali dell’istruzione offrendo piccoli premi e segni di distinzione ai figli della gente comune che in esse eccellono”27.
In conclusione al Secondo Articolo della Parte Terza del Quinto libro, Smith appoggia l’educazione quale veicolo per la determinazione di cittadinanza responsabile e capace di interpretare/giudicare l’accountability politica moderna. Scrive Smith: “Nei paesi liberi, dove la sicurezza del governo dipende in larga misura dal giudizio favorevole che il popolo può formarsi della sua condotta, deve certamente essere della massima importanza che esso non sia disposto a giudicarne in modo avventato o capriccioso”28.

Conclusioni.

L’interesse sulle politiche educative in Adam Smith, che si riscontra lungo moltissime pagine della Ricchezza della nazioni, ci conduce a poter ragionevolmente considerare l’educazione un tema chiave per il superamento del supposto “iato”29 smithiano tra presupposti filosofico-morali ed economici. Il “sistema educativo misto” sostenuto da Smith che lo ha condotto a non risolvere mai completamente il problema relativo al finanziamento delle policies educative in senso eminentemente pubblico od eminentemente mercatistico, offre al contempo nell’idea smithiana l’assicurazione i) di una educazione di base aperta a tutti a priori rispetto a capacità reddituali nello sviluppo delle capabilities personali e dell’improvement30 sociale; e ii) della qualità dell’insegnamento.




Riferimenti bibliografici

Caruso Sergio, Le parole di Smith, in Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma, 1995;
Lecaldano Eugenio, Introduzione, in Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano 1995;
Nussbaum Martha C., Upheavals of Thought, Cambridge University Press, New York 2003;
Rothschild Emma, Condorcet and Adam Smith on Education and Instruction, in Amelie O. Rorty (ed.), Philosophers on Education, Routledge, London 1998;
Rothschild Emma, Economic Sentiments, Harvard University Press, Cambridge MA 2001;
Rothschild Emma and Sen Amartya K., Adam Smith’s Economics, in Haakonsen Knud (ed.), The Cambridge Companion to Adam Smith, Cambridge University Press, Cambridge 2006;
Sen Amartya K., Adam Smith’s Prudence, in Sanjay Lal and Francis Stewart (eds.), Theory and Reality in Development, MacMillan, London 1986;
Sen Amartya K., Development as Freedom, Oxford University Press, Oxford 1999;
Smith Adam, The Theory of Moral Sentiments, Millar, Edimburgh 1759, tr. it. Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano, 1995;
Smith Adam, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, Strahan & Cadell, London 1776, tr. it. La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma 1995;
Zanini Adelino, Adam Smith, Bruno Mondadori, Milano 1997;
Zanini Adelino, Adam Smith, in Gherardi Raffaella, La politica e gli Stati, Carocci, Roma 2011.